Pupilla di Gigi Proietti, icona di ruoli comici negli anni ’90, nel monologo teatrale "Senza Santi in Paradiso" l’attrice racconta le gioie e i dolori della sua carriera
Nadia Rinaldi, icona pop degli anni ’90, oggi è un’altra donna. La vita le ha regalato la fama e il successo ma anche il buio nell’anima, dal quale con tenacia è uscita ed è pronta a continuare il percorso professionale tra teatro, cinema e televisione. Il racconto di sé è sincero e appassionato, carico di storia che presto prenderà vita sulle tavole del palcoscenico.
GLI SPETTACOLI
IN SCENA IN ITALIA
Sarai presto in scena con il tuo monologo ‘Senza Santi in Paradiso’, oltre alla scrittura nei sei l'interprete. Perché lo hai scritto?
Lo spettacolo è stato un percorso, un mettersi alla prova. Nel tempo ho scritto frasi, appunti e alla fine, facendo un collage, mi sono ritrovata con delle storie in mano che di fatto sono i miei appunti di vita.
Quanti sassolini ti sei tolta dalla scarpa?
Sassolini? Diciamo un sercio grosso alla romana! Alla fine i sassolini piccoli non fanno male. Ho oltre 30 anni di carriera alle spalle, è nato tutto in modo bello e fiorente; era come avere un grande comò con tanti cassetti che aperti uno ad uno facevano prendere forma alle cose splendide che capitavano. Ad un certo punto, qualcosa è andato storto, ho sbagliato la parolina magica e quei cassetti erano sempre più duri da aprire. Nonostante tutto, la voglia di continuare non è mai scemata anche perché l'unico mestiere che posso fare è questo. Poi come si dice, ‘di necessità si fa virtù’ e nei periodi bui ho fatto altre cose inerenti sempre al settore. Lo spettacolo vuol dire proprio questo, se avessi avuto un Santo in paradiso probabilmente avrei vissuto le cose in modo diverso. Ma anche se avessi avuto qualche appoggio politico! (ride) Ho preso atto che la meritocrazia è sottovalutata. Spesso si dà spazio a persone per le quali ti chiedi perché fanno quello che fanno. Il tutto è naturalmente trattato in scena con molta ironia, lo spettacolo è veramente divertente.
Quando hai capito che volevi fare l'attrice?
Da piccolina. Sono cresciuta in un quartiere popolare ma mio papà teneva molto alla mia educazione e quindi mi ha mandato dalle Suore Orsoline. L'ambiente era l'opposto dei miei luoghi di vita, dalle suore avevo imparato a parlare un italiano corretto, a vestire in modo ordinato e rigoroso ma quando tornavo a casa riprendevo le mie abitudini più semplici. Forse è stato quello che mi ha insegnato a lavorare sul doppio ruolo che poi nel tempo ho perfezionato dedicandomi alla recitazione. Finito il percorso dalle suore loro stesse mi hanno indirizzata verso la scuola d'arte. Anche in casa però avevo dei riferimenti, mio papà era appassionato di cinema e con i film di Rossellini e Scola mi sono innamorata del neorealismo.
Lo spettacolo ha la regia di Claudio Insegno. Come avete collaborato?
Claudio per me è un fratello, è molto carino e delicato, ha scavato nei tanti racconti, ci siamo emozionati insieme. Abbiamo raccolto tutti i pezzi del collage e con tenacia, forza, amore, passione e testardaggine alla fine abbiamo concluso il lavoro, portando in scena il tutto in maniera simpatica. Certo ci sono alcuni racconti della mia vita che sono un pizzico allo stomaco, soprattutto un evento di cui non ho mai parlato ma di cui tanto è stato detto da altri ed è arrivato il momento di portarlo alla luce.
Ti riferisci alle notizie sulla tua vicenda giudiziaria?
Sì, tutto quello che è stato detto è sbagliato. Sono 30 anni che provo a far togliere le notizie false diffuse ma anche far fare la modifica a Wikipedia nonostante abbia dichiarato più volte di prendermi tutte le responsabilità è stata un'odissea. Sai cosa? Per tante situazioni sono state invitate le persone nelle trasmissioni e hanno potuto dire la loro, Io purtroppo non sono stata invitata e non ho avuto il diritto di replica. Potevo dire tante cose ma avrei fatto ‘l’infamata’ e dove sono cresciuta io non essere infame era un valore. Ho preferito affrontare l’evento, è stato doloroso, anche con forti ripercussioni psicofisiche. Ho perso moltissimi amici, sono stata senza lavorare per tanto tempo ma per fortuna il pubblico non si è mai allontanato ed è grazie al pubblico che ho sempre trovato la forza di continuare. Ma un enorme grazie va a Gigi Proietti che mi ha dato la possibilità di vivere attraverso il teatro.
Ti manca Proietti?
Mi manca da morire! È stato il mio mentore, insegnante o come amava definirsi lui principale. Mi è stato accanto e quando è morto mio papà lo è diventato lui un secondo papà. Gli devo tutto, è stato il primo a credere in me. Ma grazie lo dico anche a Christian De Sica, anche a lui ho un grazie da dire. Quando ci sono vanno detti, è una parola semplice grazie ma con un valore immenso!
Nello spettacolo ci sono canzoni di grandi interpreti della romanità, da Califano alla Ferri. Oltre le radici, come ti senti legata a loro?
Mi hanno accompagnata sin da piccina, il sabato sera seguivo Canzonissima, la domenica, che era il giorno delle grandi pulizie in casa, lo stereo suonava a tutto volume le canzoni romane. Mi capita di fare delle serate dedicate alla canzone romana proprio perché credo sia necessario che i giovani la conoscano, che scoprano il nostro immenso patrimonio.
Oltre alla tournée teatrale, quali impegni hai in programma?
Di recente ho partecipato al film di Mauro Graiani, 30 anni di meno e farò parte del cast di Suburra, ho un ruolo nella nuova serie. A settembre porterò a teatro La Circe con la regia di Antonello de Rosa.
Dopo una vita sulle montagne russe fatte di gioie e di dolori come è diventata oggi Nadia?
Innanzitutto una gran gnocca! Ho un’età che mi dà la possibilità di affrontare ruoli di spessore emotivo, superando così l'etichetta della simpaticona. Certo, riguardando le foto dei miei 20 o 30 anni rimpiango un po' quella spensieratezza che non leggo più nei miei occhi.